I due fondatori del francescanesimo.
San Francesco, padre del francescanesimo, è un Santo molto conosciuto in tutto il mondo. Non è così per Santa Chiara, che ancora vive allo scuro del monastero San Damiano. Ciò non vuol dire che essa sia meno importante del suo padre e maestro. Ella si definisce propaggine del beato padre Francesco, cioè una pianticella nata da lui, ma con le stesse identiche caratteristiche della pianta madre. L’amore per la povertà, e per l’umanità di Cristo accomunano questi due santi, e ne fanno una coppia completa, dove la missione di Francesco, viene sostenuta dalla preghiera di Chiara.
Questi sono due Santi che hanno avuto il coraggio di aprire strade nuove nella Chiesa. Francesco creando un ordine mai prima visto, Chiara invece è la prima donna a scrivere una forma di vita per donne, la cuoi approvazione è avvenuta tre giorni prima della sua morte. Di essa ne fanno beneficio le clarisse a lei successive, perché lei non ha avuto la possibilità di viverne la semplicità.
Santa Chiara di Assisi
Chiara nasce ad Assisi, nel 1193, dalla nobile famiglia di Favarone degli Offreducci. È ancora bambina quando in città scoppia una guerra civile tra i nobili e la nascente borghesia e Chiara deve rifugiarsi, con la sua famiglia, a Perugia, dove rimane fino alla giovinezza. Tornata ad Assisi, con il desiderio di appartenere solo a Cristo e attratta dall’esempio di san Francesco, la notte della domenica delle Palme 1212 abbandona la casa paterna e, alla Porziuncola, abbraccia la Forma di Vita evangelica sulle orme del Signore e della sua santissima madre. La sua vita si consuma nel piccolo chiostro del monastero di San Damiano, in una gioiosa sequela di Cristo povero e crocifisso. In una vita semplice, laboriosa e fraterna, attraverso la via della povertà, ella si apre al mistero di Dio. Il dono della fraternità è frutto di questo cammino: con lei nasce una nuova forma di vita, quella delle Sorelle Povere, poi chiamate Clarisse. All’età di trent’anni per Chiara inizia una lunga malattia che la renderà inferma. Malgrado ciò continua ad essere per le sue sorelle una madre premurosa, una guida sapiente e un esempio di vita veramente evangelica. A San Damiano, l’11 agosto 1253 compie il suo beato transito al cielo, celebrando il dono della vita e il suo Autore: Va’ sicura, in pace, anima mia benedetta, perché hai buona scorta nel tuo viaggio! Infatti Colui che ti ha creata, ti ha resa santa e, sempre guardandoti come una madre il suo figlio piccolino, ti ha amata con tenero amore. E tu, Signore, sii benedetto perché mi hai creata”. Chiara ci ha lasciato, oltre alla Regola, il Testamento, la Benedizione e quattro Lettere indirizzate a sant’Agnese di Praga.
I frati:
Francesco organizza una forma di vita religiosa assolutamente inedita, che va oltre il chiostro cioè la vita monastica come era fin ad allora intesa. I cardini sono due: la vita comunitaria e la povertà quasi assoluta. I concetti che si vengono elaborati sono dunque due e cioè la fraternità e l’essere assolutamente minori, nel senso di non possedere nulla.
Il senso di minorità i giovani che si raduna attorno a Francesco si danno il nome di “frati minori”, cioè la parte di popolo più umile ad Assisi, in contrapposizione coi Mayores (nobili e commercianti). Rinunciano a tutti i beni, si vestono di sacco, danno tutto ai poveri.
Lo dice Tommaso da Celano, l’autore della prima cronaca dell’esperienza francescana: “E siano minori”. Ma c’è di più perché la povertà non è solo privazione di qualsiasi bene materiale, ma fiducia totale nella Provvidenza di Dio come recita il Vangelo:
3 Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!». 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. (Lc 10.3-7)
Da questo vangelo si ricava anche il saluto francescano: “Pace e Bene” a cui si risponde “Pace e Bene”
Le Monache:
La clausura
Nonostante ad assisi vi fossero molti movimenti religiosi femminili, come le Beghine, che assomigliavano un po’ alle odierne suore di vita attiva, Chiara non sceglie come Francesco di vivere nel mondo e occuparsi dei poveri e dei lebbrosi, ma segue una via monastica, in cui al tempo si considerava impossibile vivere la povertà di Francesco.
La povertà
Chiara predilesse «attentissimamente lo Privilegio della Povertà» testimoniano le sorelle che vissero con lei a San Damiano, perché «particolarmente amava la povertà, e non poté mai essere indotta a ricevere possessione, né per lei, né per lo monasterio». Ma non fu facile per lei, far valere questo principio: nel 1219 il cardinale Ugolino dei conti di Segni, legato pontificio per l’Italia centro-settentrionale, scrisse per loro una formula vitae dove l’accento è messo sulla clausura, anziché sulla povertà. Per il cardinale era di interesse primario, infatti, la salvaguardia sopravvivenza: da qui la necessità di dotare i singoli monasteri di beni stabili, pena la loro estinzione quando fosse venuta a mancare la quotidiana elemosina.
La sponsalità con Cristo
Poichè, per divina ispirazione, vi siete fatte figlie e ancelle dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere questa forma di vita (…)
Una delle caratteristiche peculiari di Chiara, è il suo rapporto sponsale con Dio, chiaramente visibile nelle lettere che ella scrive.
Quante decidono di vivere in verginità per Cristo, non sono scapole ma spose del’altissimo Re. E come tali devono comportarsi, acquisendo nel cammino la forma dell’Amato. Da qui lo sforzo per diventare conformi a Cristo nell’amore.
Il dottore Serafico
San Bonaventura è importante per il mondo francescano, perché assieme al Beato Duns Scoto, ha dato vita ad una nuova visuale nella teologia cattolica. Essi sono i padri della teologia Francescana, che, con un altra visuale, si discosta dalla classica teologia Tomista, e la completa.
E’ amando che si conosce, e conoscendo che si ama.
Mentre la teologia tomista comincia dalla conoscenza per arrivare all’amore di Dio, quella francescana parte dall’amore per arrivare alla conoscenza.
Per cui ai francescani è attribuita l’immagine del Serafino che sta al cospetto di Dio e brucia d’amore per Dio, mentre per la teologia tomista, l’immagine è quella di un Cherubino che al cospetto di Dio lo conosce. Da qui il nome per san Bonaventura di Dottore Serafico, e per i francescani di Ordine Serafico.
La vita
Ma vediamo ora chi era San Bonaventura.
Bonaventura nacque nel 1217 a Civita (Bagnoregio), cittadina presso Orvieto.
Nel 1226 ca. fu miracolosamente guarito da S. Francesco, come egli riferirà nella “Leggenda minor” (VII: FF 1392). «Io stesso, che ho descritto i fatti precedenti, ne feci l’esperienza diretta nella mia persona. Ancora fanciullo ero gravemente infermo; bastò che mia madre facesse un voto per me al nostro beato Padre Francesco e fui strappato alle fauci della morte e restituito, sano e salvo, alla vita».
Dopo aver compiuto i primi studi nella città nativa, passò all’università di Parigi (ca. 1236-1238) per lo studio della filosofia, laureandosi in Arti nel 1242-1243.
Diventa francescano
A 25 anni abbracciò l’Ordine Francescano, cambiando il nome di battesimo, Giovanni, con quello di Bonaventura. Con questa sua scelta, nell’università di Parigi è presente la prima cattedra Francescana.
Studiò Teologia (1243-1248) sotto Alessandro di Hales, suo magister et pater (Opera, Il, 12, 547), ed altri maestri nel convento e studio francescano di Parigi. Nel 1253 conseguì la licenza e il magistero (titolo, però, che gli venne riconosciuto più tardi, 12 agosto 1257, per l’atteggiamento di opposizione assunto dai maestri parigini contro i mendicanti).
Insegnò nello stesso studio parigino in qualità di baccelliere biblico e sentenziario (1248-1252) e poi di maestro reggente dello stesso studio (1253-1257) succedendo a Guglielmo Melitona.
Ministro generale
Nel febbraio del 1257 fu eletto, a soli 40 anni, ministro generale dell’Ordine, carica che conserverà fino all’anno 1274, anno della sua morte, dando saggio mirabile di sapienza, prudenza, spiccato equilibrio, tanto propizio in un momento difficile di assestamento dell’Ordine, da meritargli, per la sua opera moderatrice e costruttiva in piena fedeltà allo spirito di san Francesco, il titolo di secondo fondatore dell’Ordine francescano.
Viaggiò molto per le necessità dell’Ordine e incarichi pontifici, sia in Italia che in Francia, portandosi anche in Inghilterra, in Fiandra, in Germania, in Spagna. Predicò ovunque al popolo e in modo speciale agli ecclesiastici, alle monache, all’università di Parigi, dinanzi alla corte di Francia, ai vari papi in concistoro (Orvieto, Perugia, Viterbo, Roma) e, finalmente, al Concilio di Lione (1274).
Cardinale e Vescovo
Il 28 maggio 1273 Bonaventura fu eletto cardinale e vescovo di Albano, avendo già declinato nel 1265 l’arcivescovado di York. Dal novembre 1273 attese alla presidenza dei lavori preparatori e poi alla celebrazione del Concilio Ecumenico Lionese II (7 maggio – 17 luglio 1274), predicandovi il 26 maggio e il 29 giugno. Il 19 maggio dello stesso anno, nel Capitolo generale celebratosi a Lione, Bonaventura si dimise da ministro generale dell’Ordine.
Si adoperò in Concilio per l’unione dei Greci, che fu effettivamente raggiunta.Ma, estenuato dalle fatiche sostenute, il 7 luglio si ammalò gravemente il 15 dello stesso mese morì (1274).
Il corpo fu sepolto nella chiesa di San Francesco a Lione. Fu canonizzato da Sisto IV nel 1482, mentre Sisto V, il 14 marzo 1588, lo annoverò «inter praecipuos et primarios» Dottori della Chiesa (latina), sesto accanto a San Tommaso d’Aquino.
Le opere
Tra le molte opere scritte da Bonaventura ecco cosa può interessare di più ad un fedele laico.
Principalmente è conosciuta ed è alla portata di tutti, la Leggenda Maggiore che si trova nelle Fonti Francescane, egli riprende quelle del Celano, attualizzando la figura di Francesco, per dare risposta alle problematiche nell’ordine nel suo tempo, e dando una spiegazione teologica dei fatti avvenuti a Francesco.
Una opera che può essere importante per i fedeli è un manuale per la vita spirituale è L’ itinerario della mente in Dio di questo libro egli ha fatto una versione ad uso delle monache.
Quest’opera si chiama La vita perfetta alle suore san Bonaventura .
Elena Enselmini Clarissa da Padova
Un accenno lo diamo a questa beata, a noi vicina perché Clarissa padovana, e molto vicina alle origini perché compagna di sant’Antonio. Come Santa Chiara è meno conosciuta di Francesco, ma funge da suo sostegno, molto più la Beata Elena è sconosciuta, ma, come sua sorella spirituale, è un sostegno per la missione di Sant’Antonio di Padova, oltre che essere sua figlia.
La Storia di Elena
Nel 1220, San Francesco passò da Padova. Pose la prima pietra del convento dell’Arcella, dove sarebbe esplosa, pochi anni dopo, la santità di Antonio da Padova, che vi mori nel 1231.
Passando da Padova, sembra che San Francesco avesse compiuto anche un altro gesto: quello di dare l’abito di Santa Chiara a una bambina di appena tredici anni, oggi onorata come Beata.
Si chiamava Elena Enselmini, ed era figlia di una nobile famiglia padovana. Bambina, era stata educata ai più alti principi religiosi e ai più puri ideali di virtù. Quando la fanciulla desiderò, per sé e per sempre, la vita religiosa, la famiglia non soltanto non si oppose, ma si rallegrò di tale decisione.
Elena si sottrasse così ai genitori secondo la carne, per acquistare un nuovo padre secondo lo spirito, Francesco, e una nuova madre, Chiara.
Nel convento delle Clarisse, Elena Enselmini, dopo aver conosciuto il poverello d’Assisi, conobbe anche il taumaturgo di Padova, Sant’Antonio. Fu lui, sembra, a dare formazione teologica e preparazione morale alla fanciulla che, per età e per sesso, aveva ricevuto, dalla famiglia, soltanto una sommaria educazione intellettuale.
Per sei anni, la vita della Clarissa fu un’esperienza luminosa e gioiosa, nonostante gli apparenti rigori materiali, le privazioni e le durezze. Ma sui vent’anni, sopraggiunsero gli anni delle tenebre. Tenebre anche in senso fisico, con malattie e infermità, ma soprattutto tenebre dell’anima, provata dal dubbio e dall’aridità spirituale.
Veniva tentata a credere che tutto era inutile; che la salvezza eterna le sarebbe stata per sempre negata. Ma anche nei momenti di maggior disorientamento intimi, Elena Enselmini si attaccò alle certezze della fede e all’obbedienza ai superiori. Con la tenacia di una volontà ben temprata, riuscì a riconquistare la pace, e la certezza che la Provvidenza guidava il suo destino per il meglio.
Restavano le infermità del corpo, che non potevano spaventare però la donna forte. Impedita nella parola, comunicava con cenni, corrispondenti alle lettere dell’alfabeto. Con questo linguaggio da sordomuti dettò anche il resoconto di numerose visioni dalle quali fu favorita.
In una di tali visioni contemplò, nella gloria dei Paradiso, gran numero di anime di religiosi vissuti in comunità. Ciò meravigliò la Clarissa di Padova, che riteneva, da buona donna del Medioevo, che maggior titolo di gloria fosse costituito dai rigori e dalle austerità degli eremiti e dei penitenti, così frequenti allora. Gli fu rivelato che c’era invece qualcosa di ancor più prezioso: l’obbedienza, quotidiana ginnastica spirituale di chi viva in comunità. Nell’elogio di tale obbedienza, c’era già l’annunzio della certa gloria della Beata di Padova, morta a soli ventiquattro anni, verso il 1231, o secondo altri nel 1242.
Il suo corpo incorrotto ora è esposto nella chiesa di Sant’Antonino all’Arcella.